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Villa Doria Madri Pie Franzoniane
Questo palazzo, contrariamente agli altri facenti parte del sistema, è caratterizzato da una struttura fortemente articolata. Questo forse perchè è stato costruito sulle tracce di un edificio precedente, o forse per le progressive modifiche apportate. Risulta molto nascosto ai passanti a causa dell’imponente muro di cinta che lo circonda. Il corpo centrale, elevato per quattro piani, è collegato ad una maestosa torre accompagnata da un’altra più piccola che sovrasta l’edificio e ha funzione di campanile.
1500
Venne fatta costruire dalla famiglia Doria nel XVI secolo
1594
Nel 1594 Camillo Pavese, che aveva sposato Maria Doria, realizzò un ninfeo e una cappella privata all’interno della villa
1599
Nel 1599 ospitò per 10 giorni Isabella di Spagna, figlia di Filippo II, in viaggio, come tradizione per andare a sposarsi con il cugino arciduca Alberto d’Asburgo.
1764
Divenne proprietà dell’abate Paolo Gerolamo Franzoni che vi istituì, con la congregazione di suore che poi presero il suo nome, il collegio della madri Pie.
1822
Fu realizzata ad opera di Angelo Scaniglia la chiesa N.S Sedes Sapientiae in cui è conservato il corpo della suora franzoniana Maria Rosa Mazzini, la sorella del celebre Giuseppe.
1920
L'edificio divenne sede dei membri anziani degli scout locali, i quali, in quel periodo, scavarono e asportarono i detriti delle fondamenta della villa, ricavando alcuni spazi destinati ad attività di aggregazione.
1935
Alla struttura originale dell'edificio venne aggiunta la parte affacciata su via Cantore.
Note Artistiche:
Sicuramente uno degli aspetti artistico-architettonici di maggior pregio e interesse della villa è la presenza di un bellissimo ninfeo a grotta, dove, al centro di una galleria anulare a stalattiti, vi è uno spazio ottagonale interamente rivestito da mosaici di ciottoli, conchiglie ed elementi policromi di ceramica. Il ninfeo, conosciuto anche come Grotta Pavese, fu costruito molto probabilmente intorno al 1594, in occasione del matrimonio di Camillo Pavese, figlio di un ricco patrizio savonese, con Maria Doria, figlia di Giovan Battista Doria. Senza dubbio una delle frasi che rendono maggiore onore all'opera è quella del matematico J.Furttenbach che, nel “Itinerarium Italiae”, la definisce come “ quasi il più nobile ed elegante ninfeo che si possa vedere in tutta Italia”. Passando ora a considerazioni più tecniche, si tratta di una struttura interamente artificiale inserita in una terrazza costituita da un loggiato ornato di statue che delimitavano il lato Nord del giardino all'italiana, fungendo quasi da tramite fra la natura regolata di questo e l'estensione della proprietà verso la collina conclusa dal bosco selvatico. Il prospetto è a tre fornici con cariatidi femminili in pietra, ornato da protomi leonine e femminili di marmo, e dà accesso ad un atrio tripartito interamente rivestito di decorazioni a mosaico polimaterico: sulla volta a crociera della campata centrale sono presenti quattro figure femminili abbigliate con vesti policrome, in atteggiamento di suonare viole, chitarre e liuti, riconoscibili come le Horai. La collocazione delle quattro dee ad accogliere il visitatore non è certo casuale: esse, come vuole la cultura classica, sono poste a custodia delle porte del cielo e introducono il visitatore nel macrocosmo della grotta, fatto dal regno degli elementi naturali e delle metamorfosi. Secondo il Cartari, le Horai potrebbero anche avere una valenza simbolica, identificandole con le Grazie portatrici di buona fortuna per la coppia Doria-Pavese. Sulle voltine laterali, ancora nell'atrio, in cartigli, campeggiano le quattro figure allegoriche dei quattro elementi: aria e fuoco sulla sinistra, acqua e terra sulla destra. Già nell'atrio quindi si va definendo il carattere simbolico della grotta, dove si fondono i quattro elementi coinvolti nelle continue metamorfosi delle stagioni e dei cicli della vita, ma contemporaneamente si delinea l’interpretazione come allegoria celebrativa del matrimonio. Cupola e tamburo sono retti da otto pilastri con erme maschili e femminili, satiri e ninfe intesi come immagini della forza vitale della natura, inoltre le erme si qualificano anche come rappresentazioni “dei termini”, riacquistando il valore originale di segni di confine, al limite fra terraferma e la parte selvaggia che inizia proprio oltre alle arcate rette dalle figure dei satiri e delle ninfe. Oltre le arcate, infatti, lo spettacolo cambia completamente: attorno alla parte centrale sfavillante delle decorazioni policrome, corre un anello di acque che ripete nella realtà l'elemento figurato nella cupola e nella quale avvengono le metamorfosi. Al di là di questo, sei nicchie con concrezioni calcaree e stalattiti, ornate di conchiglie, ospitavano creature mostruose, mentre nel più profondo degli antri, campeggiava la statua di Nettuno. Nel suo complesso l'intera opera risulta essere una contrapposizione fra la parte interna, di “natura controllata” dove avvengono le metamorfosi mediante un continuo cambiamento di forme e la parte di “natura selvaggia”, dove l'artefice nasconde l'artificio con la tecnica, usando materiali estratti da grotte come stalattiti, concrezioni calcaree e rocce che vengono composti per rimandare appunto a quell'idea di natura selvaggia non umanizzata. L'arrivo nella parte selvaggia, però, non è così repentino; infatti questo cammino è segnato da graduali avvicinamenti, così l'osservatore riesce a ricreare una zona intermedia che si colloca fra i mosaici e le stalattiti, una zona caratterizzata da concrezioni molto più fini. La scelta delle decorazioni e dei materiali utilizzati sono anche la diretta esposizione, al di là della natura simbolica dell'opera, di una grande ostentazione del potere economico delle due famiglie.
Bibliografia:
Catalogo delle ville genovesi, AAVV, 1967
Il tempio di Venere, Lauro Magnani, Sagep, Genova, 1987
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